Premessa
Date le evidenti complessità ed ampiezza che contraddistinguono l’argomento che andiamo ad introdurre oggi, questo non potrà che essere presentato per vie generiche con finalità puramente divulgative.
Cosa sono e come funzionano le terapie geniche
Questa tipologia di terapia innovativa ha come obiettivo quello di fornire all’organismo del paziente una versione corretta delle informazioni genetiche difettose che lo contraddistinguono dalla nascita. Si tratta di una cura molto differente da quelle classiche basate ad esempio su farmaci o chirurgia: in questo caso si lavora direttamente a livello di DNA per bloccare o sostituire un gene malato, di inserirne uno mancante o di renderlo più facilmente identificabile dal sistema immunitario.
Le due principali modalità di somministrazione sono in vivo (il gene corretto viene trasferito direttamente nell’organismo del paziente mediante un’iniezione per via locale nel cosiddetto organo bersaglio, oppure per via sistemica ovvero tramite circolazione sanguigna) ed ex vivo (la correzione avviene all’esterno dell’organismo del paziente; le cellule bersaglio vengono prima prelevate, poi modificate geneticamente in coltura ed infine reintrodotte nel paziente stesso).
Per veicolare il gene terapeutico all’interno del materiale genetico dell’organismo si utilizzano dei vettori virali[1].
Editing genetico
Ultima frontiera delle terapie geniche, questa “recente” tecnica potrebbe rappresentare un’ulteriore svolta nel settore; i principali punti di forza starebbero sia nella possibilità di correggere i geni difettosi senza dover procurare una copia sana dall’esterno che in quella di agire su più punti del genoma contemporaneamente (rendendo quindi aggredibili anche malattie causate da mutazioni di gruppi di geni).
Protagonista di questa tecnica è il CRISPR-Cas9[2]: scoperto nel 2012, questo sistema naturalmente presente in numerosi batteri si basa sull’utilizzo dell’enzima Cas9 e consente di modificare qualsiasi tipo di cellula vegetale o animale - uomo incluso - addirittura a livello di singola lettera, funzionando come una sorta di forbice molecolare destinata a tagliare un DNA bersaglio là dove ce ne è bisogno.
Alcuni esempi di trattamento in fasi più o meno avanzate di sperimentazione: malattie genetiche rare (distrofia muscolare di Duchenne, talassemia, emofilia B, X-SCID, fibrosi cistica); tumori; malattie neurologiche (Alzheimer, Parkinson); malattie infettive (AIDS).
Rischi clinici e questioni etiche
Non c’è molto da girarci intorno: da un lato le terapie geniche rappresentano oggi una prima speranza concreta per pazienti affetti da patologie incurabili, dall’altro non vanno sottovalutati i rischi connessi a trattamenti così innovativi. Non è di fatto possibile escludere a priori risposte avverse del sistema immunitario (il quale potrebbe identificare come “nemico” il vettore virale scatenando reazioni anche gravi) oppure errori di “precisione” (i geni corretti potrebbero trasferirsi nella cellula sbagliata – magari sana – o nella posizione sbagliata, causando mutazioni potenzialmente pericolose).
Per quanto riguarda le questioni etiche, queste diventano dirimenti quando si estendono le possibili applicazioni delle terapie geniche alle cellule della linea germinale (introducendo quindi modifiche che non si limitano ad impattare sulla vita del paziente stesso ma che verranno trasmesse alle successive generazioni sue discendenti).
Conclusioni
Alla data di stesura del presente contributo, le terapie geniche contribuiscono principalmente alla cura di alcune malattie rare; l’obiettivo è di riuscire – un domani si spera non troppo lontano – ad estendere lo spettro dei trattamenti fruibili anche a patologie comuni ma assai più complesse (cancro, Parkinson, artrite…), le quali rappresentano sia una delle principali cause di decesso nel mondo che una delle maggiori voci di costo per la sanità pubblica.
Alessandro Vannelli – PQL
[1] Vettore usato in terapia genica per il trasferimento degli acidi nucleici con funzione terapeutica. I vettori virali più utilizzati sono quelli basati sui retrovirus murini e aviari, sull’adenovirus e sui virus adenoassociati. Anche gli herpesvirus umani sono potenzialmente dei vettori utili per la terapia genica, soprattutto in virtù della loro caratteristica di instaurare un’infezione latente nell’organismo. In quest’ottica, risulta particolarmente interessante l’Herpes simplex di tipo I per la sua capacità di infettare e permanere indefinitamente nelle cellule del sistema nervoso centrale. Tuttavia, la grande dimensione del loro genoma, che ne limita l’uso in laboratorio, e la scarsa comprensione dei loro meccanismi di patogenicità, ne prevengono l’immediato utilizzo clinico. Un problema che si riscontra con i vettori retrovirali è quello di ottenere livelli di espressione del gene terapeutico elevati, persistenti e, possibilmente, tessuto-specifici. Più della metà delle sperimentazioni cliniche oggi in corso utilizza vettori retrovirali, in genere sotto forma di sopranatante infettivo ottenuto da colture di cellule capaci di produrre il virus ingegnerizzato, oppure, in un numero minore di casi, utilizzando direttamente cellule produttrici. Tra gli altri vettori virali, gli adenovirus sono utilizzati ca. nel 13% dei casi e i virus adenoassociati nell’1%. Formulazioni basate sui liposomi e su complessi liposomi/adenovirus sono utilizzate ca. nel 20% delle sperimentazioni. Per quanto riguarda i risultati preliminari di queste sperimentazioni, è bene dire subito che, a dispetto di buoni risultati nella sperimentazione animale, non esiste ancuna procedura di trasferimento genico che abbia prodotto effetti terapeutici duraturi, persistenti e radicali nell’uomo. Del resto, quasi tutte le sperimentazioni sono di fase I e II, e quindi si propongono ancora obiettivi terapeutici limitati. Grazie a tali sperimentazioni, si è potuto osservare che, con poche eccezioni, le procedure di trasferimento genico adottate sono sicure e relativamente prive di effetti tossici. Un’importante eccezione a questa conclusione è data dalle sperimentazioni con vettori adenovirali di prima generazione (specialmente rivolti alla terapia genica della fibrosi cistica), dato che essi hanno rivelato una insospettata capacità di generare risposte infiammatorie indesiderabili nell’ospite. Fonte: Enciclopedia Treccani.
[2] La scoperta è valsa il Nobel per la chimica nel 2020 alle scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna. Il sistema prende ispirazione da un meccanismo usato dai batteri per difendersi dai virus e utilizza un enzima chiamato Cas9, trasportato da un frammento di RNA capace di raggiungere esattamente il bersaglio previsto. Per questo il sistema sfrutta la presenza di alcune zone di sequenze ripetute palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari, dette, in breve, CRISPR. Giunto lì, l’enzima esegue l’equivalente biologico del comando copia-incolla di un software di scrittura ed elimina o sostituisce la sequenza bersaglio. Fonte: AIRC – Fondazione per la Ricerca sul Cancro.
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